Aiuto Biblico

Il Buon Samaritano: amare il tuo prossimo

Luca 10:25-37

sermone di Marco deFelice, www.AiutoBiblico.org per domenica, 22 luglio 2018, – cmd es –
Descrizione: Chi è il nostro prossimo, e cosa vuol dire amare il nostro prossimo? Gesù ci insegna.
parole chiavi: buon samaritano, prossimo, amore, amare, comandamenti, parabola

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Siamo salvati per grazia, tutto per grazia, non per buone opere. Siamo salvati per mezzo dell’opera di Gesù Cristo, morendo sulla croce per i nostri peccati e poi risuscitando dalla morte. Le nostre buone opere non c’entrano con il fatto che Dio ci salva.

Eppure, anche se non siamo salvati per le buone opere, ovvero la nostra ubbidienza ai comandamenti di Dio, la vera salvezza produce un nuovo cuore, e un nuovo cammino, un cammino di ubbidienza e di buone opere.

Infatti, se non c’è una vita di ubbidienza, non c’è vera salvezza. Per esempio, in 1 Giovanni 2:3,4 leggiamo:

“3 E da questo sappiamo che l’abbiamo conosciuto: se osserviamo i suoi comandamenti. 4 Chi dice: "Io l’ho conosciuto," e non osserva i suoi comandamenti, è bugiardo e la verità non è in lui.” (1 Giovanni 2:3-4 LND)

Questo brano, e tanti altri, sono chiari. Ubbidire ai comandamenti di Dio è un frutto della vera salvezza. Nella stessa Epistola leggiamo che che cadiamo, ma un vero credente non rimane nel peccato, ma confessa il peccato e riprende il cammino dell’ubbidienza.

Allora, un vero credente cammina in ubbidienza ai comandamenti di Dio.

Allora, qual’è il più grande comandamento?

Gesù Cristo ci insegna che il più grande comandamento sono due, e che tutti i comandamenti vengono riassunti in questi due comandamenti. Quindi, nella vita di un vero credente, questi due comandamenti sono centrali. Quello che vogliamo fare oggi è considerare il secondo di questi due comandamenti.

Trovate con me l'Evangelo di Luca, capitolo 10. In questo insegnamento, Gesù conferma che questi due comandamenti sono i più grandi, e poi, ci dà una parabola per aiutarci a capire come applicare il secondo comandamento. Cioè, finché un comandamento resta un principio intellettuale, è poco utile. Un comandamento è utile solo quando arriva a cambiare come viviamo giorno per giorno. Per esempio, Dio comanda a noi mariti di amare le nostre mogli come Cristo ama la Chiesa. Finché rimane qualcosa di intellettuale, serve a ben poco. Bisogna arrivare ad un punto in cui sappiamo come applicare questo giorno per giorno in modo che curiamo le nostre mogli in modo pratico. Ed è così per ogni comandamento.

Perciò, leggiamo Luca 10:25-28. In questo brano, il nostro Signore Gesù Cristo conferma qual è il più grande comandamento. Vedremo subito che il più grande comandamento è composto da due comandamenti. In realtà, non si possono separare questi due comandamenti. Seguite attentamente mentre leggo.

“25 Allora ecco, un certo dottore della legge si levò per metterlo alla prova e disse: "Maestro, che devo fare per ereditare la vita eterna?". 26 Ed egli gli disse: "Che cosa sta scritto nella legge? Come leggi?". 27 E quegli, rispondendo, disse: "Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il prossimo tuo come te stesso". 28 Ed egli gli disse: "Hai risposto esattamente; fa’ questo e vivrai". (Luca 10:25-28 LND)

Questo brano non è difficile da capire. Il più importante comandamento è di amare Dio con tutto quello che siamo, e di amare il nostro prossimo come noi stessi. Altrove, leggiamo che tutta la legge dipende da questi due comandamenti. In altre parole, ubbidire di cuore a questi due comandamenti vuol dire che già stiamo ubbidendo a tutti i comandamenti.

Abbiamo parlato in altre occasioni del comandamento di amare Dio con tutto il nostro cuore, mente, anima e forza. Noi amiamo Dio, perché Dio ci ha amato per primo.

In questo sermone, voglio considerare che cosa intende Gesù quando parla del comandamento di amare il tuo prossimo come te stesso. Cioè, nella mente di Gesù, ed è quello che importa, non si può separare amare Dio e amare il tuo prossimo. È impossibile veramente amare Dio se non amiamo il nostro prossimo, e similmente è impossibile veramente amare il nostro prossimo se non amiamo Dio. Ma che cosa vuol dire amare il nostro prossimo come amiamo noi stessi?

Il cuore che vuole giustificarsi

Gesù stava parlando con un dottore della legge. Un dottore della legge era un uomo religioso esperto della Parola di Dio. Quel uomo chiede a Gesù chi è il suo prossimo. Con quella domanda, voleva giustificarsi. Cioè, voleva mettersi in una buona luce, voleva essere visto come giusto e buono. Il suo desiderio non era capire come poteva ubbidire di più a Dio. Non era capire come amare meglio il suo prossimo. La sua domanda era per giustificarsi, per far vedere che era giusto.

Prego che possiamo tutti capire che voler giustificarci rivela un cuore di peccato. Voler giustificarci rivela un cuore che vuole essere visto bene, ai propri occhi e davanti gli altri. È un cuore focalizzato sull’innalzarsi, anziché assomigliare di più Gesù Cristo.

Piuttosto, quello che rispecchia l'opera di Dio in noi è quando anziché voler giustificarci, vogliamo crescere in giustizia. Quello che importa non è di essere visti giusti, è di riconoscere i campi in cui non siamo giusti, per poter crescere in quei campi.

Quindi, Gesù aveva comandato che la seconda parte del più grande comandamento è di amare il tuo prossimo come te stesso. Notate come quest'uomo cerca di giustificarsi. Leggo il versetto 29.

“Ma egli, volendo giustificarsi, disse a Gesù: "E chi è il mio prossimo?"”. (Luca 10:29 LND)

Pensate alla situazione. Questo uomo aveva Gesù Cristo stesso davanti a sé. Gesù Cristo poteva spiegare tutto a lui. Questo uomo aveva l’immenso privilegio di capire meglio come vivere per Dio, per essere in comunione più stretta con Dio. Invece, anziché voler capire meglio la vita con Dio, voleva giustificarsi, mettersi in una buona luce.

Carissimi, quanto spesso noi siamo così, quanto spesso vogliamo giustificarci, quanto spesso il nostro desiderio non è di vivere più per la gloria di Dio, non è di fare del bene agli altri, piuttosto quanto spesso il nostro desiderio è di vederci bene, ovvero, vogliamo gloria per noi stessi. Questo era il cuore di questo uomo, e spesso è il nostro cuore. Che Dio ci mostri il nostro peccato.

Non mi sorprende il cuore di quel uomo, perché ho visto il mio cuore così più volte. Quello che mi colpisce è il cuore di Gesù Cristo. Gesù Cristo vedeva chiaramente l'ipocrisia di questo uomo. Capiva immediatamente che quest'uomo non avevo un cuore per Dio. Quindi, Gesù Cristo avrebbe potuto subito condannare questo uomo, e rinfacciargli il peccato del suo cuore. Ma quello non è il cuore di Gesù Cristo. Gesù Cristo preferisce salvare. Gesù Cristo vuole farci vedere i nostri peccati, affinché confessiamo i nostri peccati, perché Gesù Cristo ama perdonare. E perciò, anziché condannare questo uomo per il suo cuore duro, Gesù gli racconta un avvenimento per aiutarlo a riconoscere il suo peccato, in modo che potesse ravvedersi.

Visto che molto spesso anche noi vogliamo giustificarci, visto che molto spesso anche noi manchiamo di amare il nostro prossimo, proprio come due degli uomini nella storia che Gesù racconta, questa storia serve moltissimo anche a noi. La conosciamo molto bene, ma io prego che oggi possiamo considerarla alla luce dei nostri cuori, per crescere nel amore del nostro prossimo.

Seguite mentre leggo Luca 10:30-35.

“30 Gesù allora rispose e disse: "Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e cadde nelle mani dei ladroni i quali, dopo averlo spogliato e coperto di ferite, se ne andarono lasciandolo mezzo morto. 31 Per caso un sacerdote scendeva per quella stessa strada e, veduto quell’uomo, passò oltre, dall’altra parte. 32 Similmente anche un levita si trovò a passare da quel luogo, lo vide e passò oltre, dall’altra parte. 33 Ma un Samaritano, che era in viaggio, passò accanto a lui, lo vide e ne ebbe compassione. 34 E, accostatosi, fasciò le sue piaghe, versandovi sopra olio e vino; poi lo mise sulla propria cavalcatura, lo portò a una locanda e si prese cura di lui. 35 E il giorno dopo, prima di partire, prese due denari e li diede al locandiere, dicendogli: "Prenditi cura di lui e tutto quello che spenderai in più, te lo renderò al mio ritorno".” (Luca 10:30-35 LND)

Come dicevo, conosciamo tutti questa storia. La conosciamo così bene che spesso, non ci fermiamo a veramente considerare le verità che Gesù ci sta insegnando qua. Ricordiamo prima di tutto il contesto. Gesù sta spiegando chi è il nostro prossimo, in modo che possiamo ubbidire al comandamento di amare il nostro prossimo come noi stessi. Gesù non vuole che quel comandamento così importante rimanga solo qualcosa di intellettuale. Vuole che comprendiamo bene il senso, e cosa vuol dire nella vita pratica, la vita di tutti i giorni, sia nelle piccole cose che nelle grandi cose. Questo è il contesto di questa storia. È importante per noi di tenere in mente quel contesto, per capire meglio come applicare l'insegnamento di Gesù Cristo.

Prima di tutto, consideriamo il luogo dove è avvenuto. Gerusalemme è a circa 850 m sopra il livello del mare. Gerico è a circa 250 m sotto il livello del mare, e quindi c’è un dislivello di circa 1.100 metri. La distanza fra loro è circa 28 km. Era una strada che passava una zona arida e molto deserta, e molto pericolosa. Era conosciuta con il soprannome “la via del sangue”, per quante persone erano state ferite o uccise dai ladri su quella via. Quindi, gli ascoltatori di Gesù avrebbero conosciuto bene la brutta fama di quella strada.

Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico su quel unica strada, tanta pericolosa. Mentre camminava, cadde nelle mani dei ladroni. Essendo isolato, fu indifeso. E perciò, gli rubarono tutto quello che aveva, perfino i suoi vestiti. Lo coprirono di ferite, e lo lasciarono nudo e ferito per strada, mezzo morto.

Pensando a quel uomo, è ovvio che aveva grandemente bisogno di aiuto. In quella condizione, non poteva fare nulla da solo. Non poteva risolvere il suo problema da solo. Gesù usa la frase mezzo morto. Quindi, qui troviamo una persona nel bisogno. Certamente, non dobbiamo limitarci ad amare solo chi è mezzo morto. Il punto da capire è che in questo mondo ci sono bisogni. Non tutti sono così gravi, ma viviamo in un mondo di bisogni.

Dopo aver spiegato la situazione disperata di questo uomo, Gesù descrive tre uomini che passarono davanti a lui. I primi due sono molto simili. Consideriamo prima di tutto questi due uomini.

Il primo uomo era un sacerdote che scendeva per quella strada. I sacerdoti erano uomini impegnati tempo pieno nelle cose di Dio. Il loro ruolo era di rappresentare il popolo davanti a Dio, e conoscevano bene le Scritture. Quindi, si presume che sarebbero fra gli uomini più spirituali della società, con un cuore sensibile alle cose di Dio, e perciò, un cuore pronto a fare del bene.

Però, notate quello che Gesù dichiara di lui nel versetto 31. Lo leggo di nuovo.

“Per caso un sacerdote scendeva per quella stessa strada e, veduto quell’uomo, passò oltre, dall’altra parte.” (Luca 10:31 LND)

Gesù dichiara in modo chiaro che il sacerdote vede l'uomo mezzo morto per terra. Lo vede. Che cosa fa quando vede quell'uomo, palesemente nel bisogno? Cioè, era impossibile non capire che stava male e bisognoso. Che cosa fa quando vede questo uomo terribilmente ferito e mezzo morto sdraiato per strada?

Passò oltre, dall'altra parte della strada. Questo sacerdote, l'uomo che rappresentava Dio nella società, si sposta dall'altro lato della strada per evitare l'uomo bisognoso. Rifiuta di fermarsi, rifiuta di disturbarsi, rifiuta di aiutarlo.

Essendo sacerdote, possiamo presumere che avesse degli impegni. Possiamo presumere che aveva una vita piena, aveva cose da fare, e che il suo non era un viaggio di piacere. Camminare su questa strada pericolosa vuol dire quasi sicuramente che aveva un motivo importante per fare questo viaggio.

Da tutto quello, potremmo immaginare che nella sua mente, giustificava questo rifiuto di aiutare con ragionamenti che non aveva tempo di fermarsi, o che non voleva rischiare di essere lui stesso aggredito dai ladroni. E infatti, più tempo uno ci metteva e più c'era il rischio di essere attaccato da ladroni. Quindi, sarebbero tutti ragionamenti che filano bene.

Gesù non spiega i suoi ragionamenti, ma spiega che passò oltre, senza aiutare. Quello è il punto che Gesù vuole che notiamo. La motivazione non importa. È importante che non si è fermato per aiutare. Le azioni rivelano il cuore.

Poi, Gesù parla del secondo uomo, un levito, anche lui un uomo religioso, che lavorava a tempo pieno nelle cose di Dio. Se ricordate, i leviti assistevano i sacerdoti.. M'entro i sacerdoti facevano i sacrifici e entravano nel tempio, i leviti li assistevano in tanti modi pratici. Quindi, anche il loro era un ruolo molto importante e molto spirituale. Leggo il versetto 32, che spiega quello che fece questo levita quando vede l'uomo ferito.

“Similmente anche un levita si trovò a passare da quel luogo, lo vide e passò oltre, dall’altra parte.” (Luca 10:32 LND)

Anche questo levita vede l'uomo mezzo morto, e quindi, vedeva che aveva disperatamente bisogno di aiuto. Eppure, questo levita, questo uomo religioso, passa dall'altro lato della strada per non stare troppo vicino all'uomo ferito, e va avanti senza fermarsi per aiutarlo.

Quindi, Gesù ci fa notare che entrambi questi uomini religiosi rifiutano di aiutare l'uomo ferito. Non fanno assolutamente niente per aiutarlo. Avrebbero potuto aiutarlo poco o tanto. Invece, scelsero di continuare i loro viaggi. Scelsero di andare avanti con i loro programmi, i loro impegni. Gesù vuole che notiamo che pur vedendo il bisogno, non aiutavano.

Il Samaritano

Arriviamo alla terza persona, un samaritano. È importante capire e ricordare che i Giudei odiavano i samaritani. I samaritani erano i discendenti del popolo misto che abitava in Israele dopo che l'Assiria aveva conquistato Israele intorno al 700 avanti Cristo. I Giudei sono rimasti più o meno di puro sangue, mentre i samaritani erano di sangue misti. Non solo avevano un sangue misto, ma la loro religione era mista. Per questo, erano odiati e disprezzati dai Giudei. Infatti, se ricordate in Giovanni 4, quando Gesù parlava con la donna samaritana, lei è rimasta sorpresa che Lui parlasse con lei, essendo una donna samaritana. Spesso, i Giudei facevano un viaggio più lungo anziché passare per la Samaria.

Quindi, per i giudei, i samaritani erano odiati e disprezzati. I giudei non volevano contatto con i samaritani.

Gesù non dice chi era l’uomo ferito, ma il fatto che non lo dice ci fa presumere che fosse un giudeo. Cioè, sia Gerusalemme che Gerico erano città dei Giudei. Inoltre, per il fatto che menziona che questo terzo uomo era un samaritano, ma non lo dice per l’uomo ferito, si presume che questi fosse un giudeo.

Quindi, questo uomo, che ferma per aiutare l’uomo ferito, era un samaritano, un popolo che i Giudei disprezzavano, e consideravano lontani da Dio. Quindi, mentre il sacerdote e il levità erano considerati uomini di Dio, il samaritano sarebbe stato considerato dai Giudei un uomo lontano da Dio.

Eppure, da quello che fanno, vediamo che il cuore del samaritano è drasticamente diverso dal cuore degli altri due uomini. Il samaritano aveva un cuore secondo Dio, mentre i due uomini religiosi avevano cuori lontani da Dio. Seguite mentre leggo il versetto 33, in cui Gesù mette enfasi sul fatto che la differenza in come il samaritano agisce era dovuta ad una differenza di cuore. Ve lo leggo.

“Ma un Samaritano, che era in viaggio, passò accanto a lui, lo vide e ne ebbe compassione.” (Luca 10:33 LND)

Notate che tutti i tre vedevano l'uomo ferito. Ma mentre i primi due uomini si allontanarono dall'uomo quando lo videro, il samaritano, vedendo l'uomo ferito, ne ebbe compassione. È importante notare che Gesù menziona la sua compassione. L’impegno di questo samaritano di aiutare questo uomo veniva dalla sua compassione.

Compassione è una condizione del cuore, ed è una forma di amore. Quindi, potremmo dire che il samaritano, vedendo l'uomo ferito, lo amò. Aveva amore per lui, voleva il suo bene, volevo aiutarlo nella sua sofferenza e nel suo bisogno. Quello che fa è una conseguenza del cuore che aveva nei confronti dell'uomo ferito. È molto importante notare questo, perché Gesù menziona la sua compassione prima di parlare di quello che fa. Così sapiamo che l’aiuto che dà viene da un cuore di amore.

Avendo questa compassione, e potremmo anche dire questo amore, il samaritano agiva, perché il vero amore non è mai solo un sentimento. Il vero amore si esprime nelle nostre azioni e nel nostro impegno. Leggiamo quello che il samaritano faceva come frutto del suo amore. Leggo i versetti 34 e 35.

“34 E, accostatosi, fasciò le sue piaghe, versandovi sopra olio e vino; poi lo mise sulla propria cavalcatura, lo portò a una locanda e si prese cura di lui. 35 E il giorno dopo, prima di partire, prese due denari e li diede al locandiere, dicendogli: "Prenditi cura di lui e tutto quello che spenderai in più, te lo renderò al mio ritorno".” (Luca 10:34-35 LND)

La compassione di questa uomo, che è anche una forma di amore, essendo vera, si trasforma in azioni. Quindi, si ferma, fascia le ferite di questo uomo, che, oltre a sporcarsi con il sangue di quell'uomo, si mette al rischio che i ladri potrebbero tornare. Ma non gli importa, cura bene l’uomo ferito, e poi, lo mette sulla propria cavalcatura, probabilmente un asino. Lo porta ad una locanda, e lì, affitta una stanza e si prende cura di lui. Quindi, sta prendendo molto tempo, e sta spendendo soldi. Resta là la notte curandolo, e poi, la mattina dopo, prima di partire per continuare il suo viaggio, dà ordine al locandiere dicendo di curare l’uomo ferito, finché non sarebbe tornato, e che al ritorno avrebbe pagato tutte le spese.

Si potrebbe dire che non dà solo qualche cura, non dà quello che poteva dare senza interrompere il suo programma più di tanto, piuttosto questo samaritano dà tutta la cura necessaria, nonostante il costo notevole, il rischio, e anche il costo di tempo. Questo è vero amore.

Gesù parla al suo cuore

Il contrasto fra la reazioni dei primi due uomini quando vedono l’uomo ferito, e la reazione del samaritano quando lo vede, è drastico. Dalle reazioni di questi tre uomini, vediamo chiaramente i loro cuori. Si vede chi di loro non amava il suo prossimo, e chi di loro amava il suo prossimo. Allora, con questo esempio così chiaro nel racconto di Gesù, Gesù si rivolge a questo dottore della legge, e gli fa una domanda per mostrargli il proprio cuore. Ricordate che questo uomo, cercando di giustificarsi, ovvero cercando di mostrarsi giusto, aveva chiesto a Gesù chi era il suo prossimo. Gesù voleva aiutare questa uomo a riconoscere il proprio peccato, perché Gesù ama perdonare. Per poter perdonarci, dobbiamo riconoscere i nostri peccati. Quindi, con questa domanda Gesù sta rivelando a questo dottore della legge il suo peccato. Consideriamo attentamente la domanda di Gesù, la risposta dell'uomo, e poi, quello che Gesù gli dice, alla fine del racconto. Leggo i versetti 36 e 37.

“36 Quale dunque di questi tre ti pare sia stato il prossimo di colui che cadde nelle mani dei ladroni?". 37 E quello disse: "Colui che usò misericordia verso di lui". Gesù allora gli disse: "Va’ e fa’ anche tu lo stesso".” (Luca 10:36-37 LND)

Ricordate che l'uomo aveva chiesto chi era il suo prossimo. E aveva fatto quella domanda non veramente per sapere, ma per giustificarsi. Cioè, quel dottore della legge, uomo religioso, non voleva sapere come amare meglio, non gli interessava ubbidire meglio ai comandamenti di Dio. Quell'uomo voleva vedersi bene. Voleva giustificarsi. Il brano lo dichiara chiaramente. Quindi, la sua domanda non era una domanda onesta.

Come risposta, Gesù aveva raccontato questa storia. A questo punto, Gesù chiede all'uomo chi è stato il prossimo dell'uomo che era stato ferito e derubato dai ladroni. L'uomo dà la risposta ovvia:

“colui che usò misericordia verso di lui.”

Allora, a quel punto Gesù dichiara il messaggio per quell'uomo, e anche per noi. Valutate attentamente la potente dichiarazione di Gesù Cristo. Leggo di nuovo il versetto 37.

“E quello disse: "Colui che usò misericordia verso di lui". Gesù allora gli disse: "Va’ e fa’ anche tu lo stesso".” (Luca 10:37 LND)

Gesù comanda a quell'uomo, e tramite la scrittura, Gesù comanda anche a noi, di andare e fare la stessa cosa di quello che ha fatto quel samaritano. Allora, che cosa aveva fatto quel samaritano?

Quel samaritano aveva considerato quell'uomo a lui sconosciuto il suo prossimo. Quel samaritano aveva visto un uomo nel bisogno, e subito ha scelto di considerarlo il suo prossimo. E quindi, aveva compassione, subito ha avuto amore per lui. E perciò, amando il suo prossimo, era pronto ad aiutare, nonostante i rischi, nonostante il costo di tempo e di soldi e il grande impegno. Tutto questo perché aveva considerato quel uomo il suo prossimo.

La lezione per noi qui è molto potente. Il più grande comandamento è di amare Dio con tutto il nostro cuore, e di amare il nostro prossimo come noi stessi. Alla domanda di chi è il nostro prossimo, Gesù ci mostra che il nostro prossimo è chiunque troviamo nel cammino della nostra vita che sta nel bisogno. Amare il nostro prossimo non è qualcosa che bisogna fare solo quando abbiamo un po' di tempo avanzato. Non è qualcosa che facciamo solo se non ci costa troppo impegno, o se non è rischioso. Non è qualcosa che facciamo solo se abbiamo un po' di soldi che avanzano. Amare il nostro prossimo vuol dire impegnarci per aiutare chiunque Dio mette nella nostra vita che ha bisogno.

Applicazione

A volte, amare il nostro prossimo è molto costoso e rischioso, come l’esempio di questo samaritano. Tu sei pronto ad aiutare, anche quando ti costa caro? Tu sei pronto a cambiare i tuoi programmi, e spendere i tuoi soldi, e perfino rischiare, per aiutare un tuo prossimo?

Ci sono situazioni così, situazioni di grande bisogno. Però molto più spesso, aiutare il nostro prossimo è meno estremo. Spesso, i bisogni sono piccoli. Amare il nostro prossimo non è una questione di quanto è grande l’impegno. È una questione di essere pronti ad aiutare qualsiasi sia l’impegno. Il più delle volte, l’impegno è piccolo. Ogni tanto sarà un impegno più grande.

Allora in pratica, cosa vuol dire amare il nostro prossimo come amiamo noi stessi?

Prima di tutto, vuol dire avere occhi aperti a riconoscere i bisogni intorno a noi. Se non ci addestriamo a riconoscere i bisogni intorno a noi, sarà impossibile amare il nostro prossimo. Come genitori, è importante addestrare i nostri figli a riconoscere i bisogni intorno a loro. Quanto di più è importante per noi che siamo adulti. Quindi, dobbiamo riconoscere i bisogni, piccoli e grandi.

Poi, serve un cuore che si impegna a soddisfare quei bisogni, motivato da un amore per quella persona. Questo è come possiamo amare il nostro prossimo come noi stessi.

Ci sono mille esempi di questo. Vi do un esempio semplice. Sei fuori nel parcheggio, parlando con qualcuno. Un altro arriva, e si riempie le mani con cose da portare in casa, e allo stesso tempo, cerca di chiudere il baule, ma gli è difficile. Certamente se dovesse chiedertelo, lo aiuteresti. Ma, per conto tuo, tu NOTI il suo bisogno? Tu stai parlando. Sei impegnato. Tu vedi, e ti fermi per aiutare, come faceva il samaritano? Oppure, continui con quello che stavi facendo?

Quindi, la prima cosa che serve è NOTARE il bisogno. Può essere un fratello o sorella che è messo male di tempo, e avrebbe bisogno di un aiuto con un lavoro di casa, o qualche commissione. I bisogni sono tanti. La cosa importante è che per poter amare il nostro prossimo come noi stessi dobbiamo avere un cuore che NOTA i bisogni intorno a noi.

Poi, serve un cuore che ha compassione, ovvero, che VUOLE aiutare.

Infine, serve un IMPEGNO. L’amore non è un sentimento, è un IMPEGNO.

Amare il nostro prossimo è impegnarci per gli altri come ci impegniamo per noi stessi.

In un certo senso, è molto più facile aiutare in qualcosa di grande, che in piccole cose. Ma spesso, vediamo più della vera condizione del nostro cuore nelle piccole cose.

Per esempio, se un fratello o sorella sta in ospedale, è relativamente facile trovare chi è disposto a dare una mano alla sua famiglia.

Invece, nelle piccole cose, spesso non abbiamo occhi per vedere i bisogni. Ricordate, NOTARE i bisogni è il primo passo per amare il tuo prossimo.

Voglio dare un esempio pratico e semplice. Immagina di esseread un incontro in una casa in campagna, che finisce dopo il buio. Ci sono delle luci esterne, ma capita che nessuno si è ricordato di accenderle.

Senza le luci, è buio fuori. Tu sei uno dei primi ad uscire. Che cosa fai? Noti che è buio, e ti fermi a pensare agli altri, pensando al fatto che sarebbe più comodo per loro se le luci fossero accese? Se sì, torni dentro, per accendere le luci, o almeno per avvertire che non sono accese, in modo che qualcuno possa accenderle?

Oppure, come il sacerdote e il levita nella storia di Gesù, vai avanti sulla tua strada, ti metti in macchina, e parti, senza impegnarti per gli altri? Che cuore hai?

Amare il nostro prossimo come noi stessi è un cuore, che si manifesta in un impegno. Serve un impegno che NOTA la condizione degli altri. Riguarda non solo i grandi bisogni, ma anche i piccoli bisogni.

A chi è un genitore dico: impegnati ad insegnare ai tuoi figli ad avere occhi aperti a notare i bisogni degli altri. Per fare questo, TU dev’essere un esempio per loro.

A tutti dico: sicuramente tutti hanno una grande premura di curare la propria famiglia. Impariamo ad avere lo stesso cuore nei confronti della famiglia spirituale di cui Cristo ci ha fatto diventare parte.

Ringrazio Dio per l’amore che c’è già qua, nella nostra chiesa. Mi è di immenso incoraggiamento. Allo stesso tempo, prego che possiamo crescere sempre di più nel veramente amare il nostro prossimo, come noi stessi.

Grazie che Cristo ha questo tipo di amore per noi. È per mezzo di Lui che possiamo amare il nostro prossimo.